Urteilskopf
102 Ia 533
73. Estratto della sentenza 17 marzo 1976 nella causa Unione Studi d'Ingegneria Ticinesi (USIT) contro Consiglio di Stato del Cantone Ticino
Regeste
1.
Art. 84 OG
.
Voraussetzungen dafür, dass ein von einer Behörde ausgehendes an eine ihr nicht direkt unterstellte öffentliche Körperschaft gerichtetes Rundschreiben, das eine Empfehlung zum Inhalt hat, einem mit staatsrechtlicher Beschwerde anfechtbaren Hoheitsakt gleichzustellen ist (E. 1).
2. Kant. Bestimmung betr. Ausschluss der Vergebung öffentlicher Arbeiten an Bewerber, die sich nicht verpflichten, auf das mit ihren Angestellten bestehende Vertragsverhältnis die Bestimmungen des für diese Kategorie geltenden Gesamtarbeitsvertrages anzuwenden.
Eine solche Vorschrift kann vom Kanton erlassen werden, obwohl der Bund Bestimmungen über die Allgemeinverbindlicherklärung von Gesamtarbeitsverträgen erlassen hat -
Art. 34ter BV
-, und bedeutet weder eine Verletzung der derogatorischen Kraft des Bundesrechts - Art. 2 ÜbBest. BV - (E. 7) noch der Handels- und Gewerbefreiheit -
Art. 31 BV
(E. 10 und 11).
3. Handels- und Gewerbefreiheit.
a) Verhältnis zur Vertragsfreiheit (E. 10a).
b) Sie verleiht dem Privaten kein Recht auf Leistungen des Staates (E. 10b).
c) Der Vorbehalt zugunsten des kant. Rechts (
Art. 31 Abs. 2 BV
) umfasst ausser Polizeibestimmungen im engen Sinn auch sozialpolitische Massnahmen, sofern diese nicht in die freie Konkurrenz eingreifen oder deren Wirkung abschwächen und im übrigen nicht gegen die andern Verfassungsgrundsätze verstossen, deren Beachtung jede Beschränkung der verfassungsmässigen Rechte voraussetzt (E. 10e).
d) Die Tessiner Gesetzgebung über die Vergebung öffentlicher Arbeiten geht nicht über den Vorbehalt des
Art. 31 Abs. 2 BV
hinaus (E. 10f), entspricht einem öffentlichen Interesse (E. 11c), verletzt die Grundsätze der Verhältnismässigkeit (E. 11d) und der rechtsgleichen Behandlung der Berufsgenossen nicht (E. 11e).
Il 1o giugno 1973 l'Associazione dei datori di lavoro delle arti tecniche (ADLAT), da una parte, e la Federazione svizzera dei lavoratori edili e del legno (FLEL), la Camera del lavoro del Cantone Ticino nonché l'Organizzazione Cristiano-sociale, dall'altra, stipularono un contratto collettivo di lavoro per i disegnatori degli uffici di architettura, di urbanistica, di ingegneria e di progettazione e direzione dei lavori delle arti tecniche in genere (edilizia, genio civile, geologia, economia forestale, impianti elettrici, sanitari e di riscaldamento) (art. 1 CCL).
Un gruppo di datori di lavoro, segnatamente la maggioranza degli ingegneri attivi nel Cantone Ticino, che allora apparteneva all'ADLAT, votò contro l'adozione del nuovo CCL. Le discordanze manifestatesi indussero gli
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ingegneri dissenzienti, venutisi a trovare in minoranza in occasione del voto sul CCL, a uscire dall'ADLAT e a costituirsi in associazione: venne così costituita l'Unione Studi d'Ingegneria Ticinese (USIT), i cui membri non applicano le norme del CCL nei confronti dei disegnatori da essi impiegati. L'USIT propose un suo contratto collettivo di lavoro, essenzialmente meno favorevole di quello dell'ADLAT per i prestatori d'opera, che rimase però allo stadio di progetto.
In data 4 marzo 1975 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino indirizzò a tutti i Comuni del Cantone la seguente lettera:
"Il Consiglio di Stato ha deciso il 31.1.73 ed ha ribadito il 28.2.1975 di conferire mandati per progetti ed opere di architettura ed ingegneria solo ai titolari degli studi che hanno aderito al Contratto Collettivo di Lavoro (CCL) pattuito tra le organizzazioni della Camera del lavoro e Cristiano Sociale da una parte e l'Associazione dei Datori di lavoro delle Arti Tecniche del Cantone Ticino (ADLAT) dall'altra parte.
Questa decisione si fonda sull'interpretazione in via analogica di quanto previsto dalla legge cantonale sugli appalti.
La decisione del Consiglio di Stato vale anche per tutti i lavori sussidiati dallo Stato (scuole, depurazione delle acque, strade, raggruppamenti terreni, case per anziani, ospedali, colonie, istituti minorili e così via), per cui la progettazione e l'esecuzione delle relative opere non possono essere affidate dai Comuni a professionisti che non abbiano aderito al CCL pattuito tra l'ADLAT e le organizzazioni sindacali.
Qualora i Comuni non rispettassero questa decisione e affidassero comunque la progettazione o l'esecuzione di opere sussidiate a professionisti non firmatari del CCL, il Consiglio di Stato potrà negare i sussidi di sua competenza."
Contro questa circolare l'USIT ha formato un ricorso di diritto pubblico. Il Tribunale federale ha respinto il ricorso.
Considerando in diritto: Questioni d'ordine I. Impugnabilità dell'atto cantonale
1.
Con ricorso di diritto pubblico possono essere impugnati gli atti di imperio che un'autorità cantonale emana in quanto detentrice del potere pubblico (leggi, decreti, decisioni) e che impongono a una o più persone di compiere, omettere o tollerare una determinata attività
BGE 102 Ia 533 S. 537
(cfr. BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, pag. 313 segg.; MARTI, Probleme der staatsrechtlichen Beschwerde, pag. 42; BONNARD, Problèmes relatifs au recours de droit public pag. 396 segg.). Alla luce di questa definizione generale si pone pertanto la questione se la circolare impugnata costituisca o meno un atto impugnabile ai sensi dell'
art. 84 OG
.
a) La prima parte della circolare è costituita di una semplice comunicazione e contiene, in particolare, il richiamo a due precedenti decisioni governative del 31 luglio 1973 e del 28 febbraio 1975, con cui il Consiglio di Stato risolveva di conferire mandati professionali esclusivamente agli studi tecnici i cui titolari avessero aderito al contratto collettivo di lavoro per i disegnatori.
In secondo luogo l'atto impugnato sottolinea che questo principio si applica anche ai lavori pubblici sussidiati dallo Stato (scuole, impianti di depurazione delle acque, strade, raggruppamenti terreni, case per anziani, colonie, istituti minorili ecc.) e ciò nel senso che il Consiglio di Stato si riserva di negare i sussidi di sua competenza qualora i Comuni affidassero la progettazione o l'esecuzione di opere a professionisti non aderenti al contratto collettivo di lavoro.
b) Stando al testo, la circolare non tocca le competenze decisionali dei Comuni in materia di assegnazione di mandati di progettazione: questi possono tuttora conferire incarichi di tal sorta agli studi tecnici di loro scelta. In questa misura la circolare impugnata non crea a carico dei Comuni nessun obbligo di fare, omettere o tollerare. Quanto poi ai mandati per opere integralmente finanziate dai Comuni, il Consiglio di Stato non interviene minimamente negli affari comunali. Tuttavia per i lavori sussidiati dallo Stato con contributi di competenza del Governo, la querelata circolare comporta una certa coercizione a carico dei Comuni. Pur essendo solo relativa (nel senso che i pregiudizi che potrebbe subire un Comune in concreto dipendono dalle circostanze del singolo caso) e indiretta (nel senso che il Consiglio di Stato si limita a render noto il proprio probabile atteggiamento senza prescrivere quello dei Comuni) tale coercizione sussiste. Ininfluente è da questo profilo che la sanzione comminata abbia carattere eventuale: un Comune non può infatti permettersi, quando conferisce un mandato, di disattendere la comminatoria della perdita di sussidi, sia pur espressa in forma attenuata.
c) Ancor più indirettamente la circolare tocca gli ingegneri non aderenti al contratto collettivo di lavoro, che vedono posto in forse l'ottenimento di incarichi da parte dei Comuni. La circolare non li obbliga di per sé né a fare né a tralasciare o tollerare alcunché; purtuttavia essa costituisce un'innegabile pressione di ordine economico nei loro confronti.
d) La classificazione della circolare impugnata in una delle categorie stabilite da dottrina e giurisprudenza non è agevole. Nella sua prima parte, essa presenta caratteri di semplice comunicazione, rispettivamente, nella seconda parte, di mera raccomandazione. Atti di tal sorta non sono di regola impugnabili in quanto è carente un interesse degno di protezione (cfr. GYGI, Verwaltungsrechtspflege, pag. 98; BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, pag. 318). Pur non trattandosi di istruzioni di servizio, in quanto il Comune non dipende dallo Stato, la circolare impugnata presenta tuttavia una certa analogia con tale tipo di ordinanza amministrativa. Le "istruzioni di servizio", con le quali l'amministrazione impone un determinato comportamento agli uffici subordinati, non sono di regola impugnabili. La giurisprudenza più recente ha però formulato riserve a tale principio. In particolare venne precisato che le cosiddette istruzioni di servizio sono impugnabili con ricorso di diritto pubblico nella misura in cui le regole in esse contenute non si esauriscono in semplici istruzioni all'attenzione dei funzionari, ma delineano direttamente o indirettamente la situazione giuridica dei privati, intervenendo in tal modo nella sfera di interessi giuridicamente protetti (cfr.
DTF 98 Ia 511
). La possibilità di impugnare ordinanze di carattere generale quale quella contenuta nella circolare impugnata deve essere facilitata soprattutto nei casi in cui chi è toccato non potrebbe altrimenti mai difendere i propri diritti garantiti dalla Costituzione. Nel caso concreto i tecnici che, per un motivo qualsiasi, compreso il timore del Comune di incorrere in una perdita di sussidi, non ottenessero incarichi da quell'ente, non potrebbero impugnare in questa sede il conferimento dei mandati ad altri professionisti. Nessuno, e in particolare nessuno dei membri della ricorrente, può infatti vantare una qualsiasi pretesa giuridica alla conclusione di un contratto con il Comune: la mancata scelta per il conferimento di tali incarichi non comporta pertanto la lesione di alcun diritto.
Intollerabile sarebbe quindi se i membri dell'associazione ricorrente nulla potessero intraprendere contro un'ordinanza di portata generale che li esclude fin dall'inizio dall'ottenimento di mandati. Una tale ordinanza di portata generale, anche se stilata nella forma di una mera raccomandazione, è suscettibile di comportare gravi conseguenze, se non anche l'annientamento economico, di una determinata cerchia di persone. Occorre pertanto che, in simili casi, il controllo della costituzionalità di tali atti sia garantito (cfr. sentenza inedita del 10 ottobre 1973 in re Ackermann e consorti c. OBV e consorti).
La circolare litigiosa, che, pur non regolando l'assegnazione di incarichi professionali a ingegneri e architetti, la pregiudica a danno di una determinata categoria professionale, deve pertanto essere considerata quale atto di imperio impugnabile ai sensi dell'
art. 84 OG
. II. Legittimazione... Questioni di merito I. Conformità dell'atto con la legge cantonale... II. Costituzionalità della legge cantonale e dell'atto impugnato... A.- Sotto il profilo dell'autonomia comunale... B.- Sotto il profilo del principio della separazione dei poteri... C.- Sotto il profilo del primato del diritto federale: diritto del lavoro (consid. 7); sussidi federali (consid. 8).
7.
L'
art. 34ter Cost.
conferisce alla Confederazione il diritto di emanare disposizioni sulla protezione dei lavoratori. Nei limiti in cui la Confederazione ha fatto uso di tale diritto decade di regola la competenza dei Cantoni di legiferare in materia, in quanto deve presumersi che la Confederazione abbia inteso dare alla sua regolamentazione un carattere esclusivo.
La Confederazione ha legiferato, tra l'altro, in materia di lavoro nelle fabbriche, di contratto di lavoro e di conferimento del carattere obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro. La nuova legislazione in materia di diritto del lavoro limita senza dubbio in modo essenziale le competenze cantonali. Ciò non toglie che il diritto cantonale
BGE 102 Ia 533 S. 540
mantiene vigore quantomeno nella misura in cui la competenza del cantone è espressamente riservata dalla legislazione federale (cfr. per es.
art. 329a cpv. 2 CO
). Nell'
art. 358 CO
il legislatore federale ha previsto espressamente che "il diritto imperativo federale e cantonale prevale sul contratto collettivo" di lavoro.
Norme cantonali intese a regolare, fuori dell'ambito delle competenze espressamente riservate, una materia già esaustivamente disciplinata dalla Confederazione sarebbero indubbiamente non valide. Né la circolare governativa impugnata né la legge ticinese sugli appalti (LApp.) regolano però rapporti fondati sul diritto del lavoro. Sia la legge che la circolare non influenzano né vogliono influenzare il contenuto del contratto collettivo di lavoro dell'ADLAT o i contratti singolarmente stipulati dai membri della ricorrente con i propri disegnatori. Né d'altro canto vengono create nuove norme, generali o speciali, del diritto del lavoro. Col suo intervento lo Stato si limita a favorire quei datori di lavoro che, a mente sua, offrono ai loro dipendenti condizioni di lavoro socialmente adeguate, rispettivamente ancorate in un contratto collettivo di lavoro. Un'influenza indiretta di tale natura è suscettibile di ledere il diritto federale, e in particolare i principi sanciti dall'art. 2 disp.trans.Cost. e
art. 6 CC
, solo se e nella misura in cui risultassero vanificati gli scopi perseguiti dalla legislazione federale. D'altronde i Cantoni non possono adottare disposizioni atte a frustrare gli scopi della legislazione federale neppure nelle materie in cui la competenza legislativa è loro riservata (cfr.
DTF 100 Ia 108
;
DTF 98 Ia 495
;
DTF 91 I 198
; HUBER, Commentario n. 174, 209 segg., 213 e 214 ad
art. 6 CC
; A. GRISEL, Des rapports entre le droit civil fédéral et le droit public cantonal, ZSR 70 pag. 296 segg.).
La censura di violazione del diritto federale potrebbe, per esempio, esser mossa a una legge cantonale sugli appalti, che imponesse indiscriminatamente l'aggiudicazione di lavori pubblici al minor offerente, e favorisse per questo una pressione negativa sulle condizioni di lavoro, ponendosi in contrasto insanabile con la ratio della legislazione federale. Simile rimprovero non può però essere mosso ad una legislazione che, concretizzando l'opposta tendenza come la legge ticinese sugli appalti, sostiene i fini della legislazione federale prevedendo l'aggiudicazione di pubblici lavori solo a concorrenti che assicurino sufficienti condizioni al
BGE 102 Ia 533 S. 541
proprio personale. Il contratto collettivo di lavoro è uno degli instrumenti che la legislazione federale offre al fine di conseguire uniformi buone condizioni di lavoro. Ove un tale contratto collettivo esista, il Cantone che favorisce nei pubblici appalti le ditte che lo rispettano, manifestamente non viola né il senso né lo spirito della legislazione federale in materia di lavoro. Anzi, l'unanime dottrina riconosce che simili leggi in materia di appalti e di sussidiamento di opere pubbliche hanno favorito in modo essenziale tanto il conseguimento della pace del lavoro, che vige ormai da alcuni decenni nel nostro paese, quanto il perfezionamento dei contratti collettivi di lavoro (TSCHUDI, Gesamtarbeitsvertrag und Aussenseiter, Wirtschaft und Recht 1953 pag. 37 segg., in particolare pag. 46; SCHWEINGRUBER, Das Arbeitsrecht der Schweiz 2a ediz., pag. 219 segg.; BERENSTEIN, Les effets indirects des conventions collectives, Travail et sécurité sociale 1962 pag. 26; KREIS, Der Anschluss der Aussenseiter an den Gesamtarbeitsvertrag pag. 49; HEITHER, Das kollektive Arbeitsrecht, Arbeitsrechtliche Studien, fascicolo 13 pag. 111; MELANIE MEYER, Das Verhältnis des Aussenseiters zum Gesamtarbeitsvertrag pag. 193).
È ben vero che il legislatore federale, con l'istituto del conferimento del carattere obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro, ha creato un istrumento che consente di assicurare l'applicazione generale di tali contratti nell'insieme della Confederazione. Dall'esistenza di tale istituto, che trova invero certi limiti nelle condizioni poste dalla legge stessa, sarebbe però assurdo dedurre che ai Cantoni sia preclusa la possibilità di promuovere dal canto loro l'adozione di contratti collettivi di lavoro e vietato di avvalersi, quali acquirenti o committenti, del loro peso economico a tal fine. Neppur la Confederazione d'altronde si limita nel suo intervento in tal senso a ricorrere all'istituto del conferimento del carattere obbligatorio generale ai contratti collettivi di lavoro. Nell'ordinanza del Consiglio Federale del 31 marzo 1971 sulla messa a concorso e l'aggiudicazione di lavori e forniture nell'edilizia e nel genio civile (Ordinanza sugli appalti) vengono infatti adottate prescrizioni analoghe a quelle stabilite dalla LApp. ticinese. In particolare l'art. 5 cpv. 9, ultima frase, dell'ordinanza prevede espressamente che il concorrente deve impegnarsi ad osservare i contratti collettivi in vigore e
BGE 102 Ia 533 S. 542
le condizioni locali di lavoro. Tale ordinanza documenta che lo stesso legislatore federale non ritiene superflue tali prescrizioni d'appalto, né ancor meno le considera in urto con la sua legislazione del lavoro. D.- Sotto il profilo della Libertà d'associazione... E.- In relazione con la Libertà di commercio e d'industria.
10.
La libertà di commercio e di industria garantisce, contro ingerenze statali, ad ogni persona il diritto di esercitare un'attività tendente al conseguimento di un guadagno (MARTI, Handels- und Gewerbefreiheit, Berna 1950, pag. 31).
a) La cosiddetta autonomia contrattuale, cioè la libertà di concludere o meno un determinato contratto, di scegliere il proprio cocontraente e, a certe condizioni, di rompere un contratto, sgorga direttamente dalla libertà di industria e commercio e ha radice anche nella libertà personale (A. GRISEL, Droit Administratif suisse, pag. 222; SALADIN, Grundrechte im Wandel, pag. 272). In materia economica la libertà contrattuale soffre delle limitazioni proprie della libertà di commercio e di industria. La censura di violazione della libertà contrattuale dei propri membri sollevata dalla ricorrente contro la LApp. e la circolare governativa non ha pertanto una portata propria ma si identifica con la censura di violazione della libertà di commercio e di industria.
b) La libertà di commercio e di industria non conferisce ai privati alcun diritto a prestazioni dello Stato. Lo Stato non è tenuto a creare occasioni di attività lucrative o a concludere contratti con cittadini attivi nel campo economico. Il commerciante o l'imprenditore la cui offerta non è tenuta in considerazione in sede di aggiudicazione di acquisti o lavori pubblici non è leso nella sua libertà di commercio e d'industria (MARTI, op.cit., pag. 32). È quindi perlomeno dubbio che la circolare del Consiglio di Stato, rispettivamente la LApp., possano comportare una qualsivoglia lesione della libertà di commercio e di industria dei membri della ricorrente.
c) Con riferimento alla dichiarazione del Governo cantonale, consegnata nel primo capoverso della circolare, la ricorrente, a ragione, non lamenta la violazione della libertà di commercio e di industria dei propri membri. Se quindi lo Stato non lede la libertà di commercio quando scarta un concorrente dall'aggiudicazione di un lavoro, ancor meno può violare tale libertà per il solo fatto di manifestare preventivamente l'intenzione di non tener conto di determinate offerte.
d) In altri termini si pone la questione di sapere se lo Stato, accordando o negando sussidi, violi la libertà di commercio e di industria di terzi che, a dipendenza di particolari condizioni cui soggiace il sussidiamento, vengono esclusi dall'aggiudicazione di pubblici incarichi. Da particolari condizioni poste al sussidiamento sarebbe naturalmente leso in prima linea colui che al sussidio può far valere un diritto fondato sulla legge o su di un'eventuale garanzia o promessa di sussidi. Entrambe le ipotesi non si verificano nella fattispecie in esame o, quantomeno, nel ricorso non è preteso che la circolare abbia privato un qualsiasi Comune di sussidi cui avesse incondizionatamente e direttamente diritto ope legis.
Quand'anche ciò fosse, mal si vede come il rifiuto di sussidi ai Comuni possa perfezionare una lesione della libertà di commercio e di industria dei membri della ricorrente, puranche nell'ipotesi che in tale rifiuto si scorgesse una specie di boicotto.
La questione può tuttavia restare indecisa in quanto la censura di violazione della libertà di commercio e di industria si rivela comunque infondata.
e) La libertà di commercio e di industria è garantita dall'
art. 31 cpv. 1 Cost.
Tale garanzia è però relativizzata, nella norma stessa, con la riserva delle disposizioni restrittive della Costituzione e della legislazione che ne deriva. Gli art. da 31bis a 34ter Cost. prevedono già sul piano costituzionale tutto un sistema di limitazioni della libertà di commercio. Altre limitazioni trovano fondamento nella legislazione federale.
Essenziale si rivela però, nell'ambito della fattispecie in esame, che l'
art. 31 cpv. 2 Cost.
conferisce espressamente ai Cantoni il diritto di emanare disposizioni circa l'esercizio del commercio e dell'industria ("le disposizioni cantonali sull'esercizio... del commercio e dell'industria rimangono riservate...") nei limiti in cui queste non ledano la libertà di commercio e di industria (..."esse non possono tuttavia portare pregiudizio alla libertà di commercio e di industria...").
La norma costituzionale citata si limita a proibire le misure di politica economica, le misure cioè che intervengono nel gioco della libera concorrenza per favorire certi rami dell'attività lucrativa e per dirigere l'attività economica secondo un certo piano prestabilito; essa vieta quindi, in sostanza, unicamente le norme intese ad ostacolare la libera concorrenza o ad attenuarne gli effetti. Il Tribunale federale e la
BGE 102 Ia 533 S. 544
dottrina ne avevano dedotto che l'ambito in cui i Cantoni possono legiferare fosse limitato alle sole prescrizioni di polizia. La nozione di simili prescrizioni di polizia fu nel corso degli anni progressivamente allargata nella giurisprudenza oltre i limiti tradizionali del concetto, che ne usciva snaturato. Per questo, nella più recente giurisprudenza, il Tribunale federale - rilevato come il testo costituzionale non impieghi il termine di "prescrizioni di polizia", ma si limiti a circoscrivere negativamente l'ambito della riserva del diritto cantonale - è da un canto rivenuto alla nozione tradizionale e ristretta di prescrizioni di polizia, ma ha nel contempo ammesso che la riserva a favore del diritto cantonale, oltre le predette misure di polizia, si estende anche ad altre misure - dette sociali o di politica sociale -, sempreché esse non abbiano per fine di ostacolare il gioco della libera concorrenza o di attenuarne gli effetti, e si conformino per il resto agli altri principi costituzionali cui la restrizione di ogni diritto costituzionalmente garantito soggiace (
DTF 97 I 499
segg., in particolare 506;
DTF 98 Ia 395
segg.).
f) La norma di cui all'art. 1 par. 1 LApp., in quanto prescrive, per l'ottenimento della delibera di lavori per conto dello Stato o sussidiati dallo Stato, l'accettazione e il rispetto degli esistenti contratti collettivi di lavoro, rientra senza dubbio nel novero delle disposizioni sociali o di politica sociale. Di natura sociale sono infatti le disposizioni concernenti la durata del lavoro, le vacanze e i salari minimi (SALADIN, Grundrechte im Wandel pag. 241 segg.).
Sia la LApp. che la circolare impugnata sono quindi atti che non esorbitano in principio dall'ambito riservato dall'
art. 31 cpv. 2 Cost.
al Cantone.
11.
Come già accennato non basta però che l'intervento cantonale poggi su di una legge formale o materiale e sia fondato su motivazioni di polizia o sociali. Affinché non vi sia "pregiudizio al principio della libertà di commercio e d'industria" ai sensi dell'art. 31 cpv. 2 secondo periodo Cost., occorre ancora che la disposizione cantonale risponda ad un interesse pubblico, sia conforme al principio della proporzionalità e non sia lesiva al principio dell'uguaglianza di trattamento dei concorrenti (
DTF 98 Ia 400
consid. 2).
a) Analogamente alla maggioranza dei vari ordinamenti federali, cantonali e comunali in materia di appalti, anche la LApp. persegue un duplice scopo:
BGE 102 Ia 533 S. 545
promuovere la sicurezza sociale e favorire la pace del lavoro, entrambi presupposti essenziali del benessere generale. Mal s'addice all'ente pubblico - tenuto ad ordinare in modo socialmente soddisfacente le condizioni di lavoro dei propri dipendenti - di trar profitto negli appalti dai prezzi minimi consentiti a taluni concorrenti dal rifiuto di aderire ad un contratto collettivo di lavoro vincolante per altri (cfr.
art. 1 cpv. 2 lett. b LCSl
).
Nell'interesse del benessere generale l'ente pubblico deve poter tenere in considerazione eventualmente anche offerte più alte. Né si può seriamente porre in dubbio che tale sacrificio non sia nel complesso per finire ripagato, così come non si può negare che l'incentivo in tal guisa fornito ai contratti collettivi di lavoro contribuisca in modo non trascurabile al mantenimento della pace del lavoro in Svizzera e con essa del benessere generale (cfr. SCHWEINGRUBER, Das Arbeitsrecht pag. 224).
b) L'applicazione dell'art. 1 par. 1 LApp. ai mandati di progettazione affidati a studi tecnici non tradisce codeste finalità. Al contrario: Stato e Comuni hanno un innegabile interesse a che i dipendenti degli studi tecnici accedano ad un certo livello sociale, e che siano loro garantite condizioni di lavoro su una base di uguaglianza, qual è quella assicurata da un contratto collettivo di lavoro. Né le tensioni sociali, né il perturbamento del clima del lavoro ed ancor meno aperti conflitti giovano alla comunità.
E neppure è seriamente da temere il pericolo di una spinta inflazionistica, adombrato dalla ricorrente. Gli onorari percepiti dagli ingegneri e architetti sono regolati dalla tariffa SIA, e quindi non variano da uno studio tecnico all'altro. Il rispetto delle disposizioni del contratto collettivo di lavoro non dovrebbe quindi trar seco un gonfiamento del prezzo globale di una determinata opera, ma comportare unicamente un diverso riparto interno del reddito del lavoro.
c) Né d'altro canto può ammettersi che la circolare impugnata sia suscettibile di compromettere interessi pubblici. L'opinione espressa in sede ricorsuale secondo cui all'USIT avrebbero aderito in modo preponderante i migliori studi di ingegneria ticinese riflette verosimilmente una valutazione meramente soggettiva. Anche se ciò rispondesse in una certa misura al vero e da tale circostanza dovessero sorgere difficoltà, tali difficoltà non potrebbero essere che di natura
BGE 102 Ia 533 S. 546
transitoria e comunque non giustificherebbero una capitolazione dello Stato chiamato a tutelare l'interesse preponderante della pace sociale.
La circostanza, da ultimo, che il numero dei disegnatori favoriti dall'accettazione del contratto collettivo sarebbe esiguo, è priva di rilevanza. Scopo della misura è infatti il mantenimento in genere della pace del lavoro e la tutela dei contratti collettivi di lavoro e non la protezione di singoli gruppi, grandi o piccoli che siano, di prestatori d'opera.
d) La ricorrente tenta di dimostrare che le misure annunciate dall'impugnata circolare colpirebbero duramente e in modo contrario ai principi della proporzionalità i suoi membri e ciò in considerazione del fatto che l'USIT è formata preponderantemente di studi di ingegneria. La circostanza che per tali studi le commesse dell'ente pubblico rivestano una notevole importanza è pacifica. Essa è però irrilevante. Lo Stato non impone a questi studi tecnici di rinunciare a lavori per lo Stato o sussidiati dallo Stato, ma si limita ad esigere ch'essi adeguino le condizioni di lavoro dei loro disegnatori a quelle offerte ai disegnatori dei membri dell'ADLAT. Trattasi in sostanza di pretendere dai membri dell'USIT lo stesso sacrificio che i titolari degli studi tecnici rimasti membri dell'ADLAT (la maggioranza degli architetti e una minoranza degli ingegneri) già si sono contrattualmente assunti.
La stessa USIT rileva a tal proposito di essere stata e di esser tuttora disposta a fare rilevanti concessioni e che, attualmente, più non sussisterebbero notevoli differenze. Ne consegue che, in tali circostanze, nulla permette di far ritenere che la pretesa di far rispettare le condizioni del contratto collettivo da parte dei membri dell'USIT possa per questi comportare un aggravio assolutamente insopportabile.
Il contratto collettivo di lavoro per i disegnatori è il risultato di lunghe trattative condotte tra l'ADLAT, all'epoca in cui gli attuali membri dell'USIT vi aderivano, e le associazioni sindacali e professionali dei disegnatori. È ben vero che gli attuali membri dell'USIT avevano formulato proprie proposte in sede di discussione. Compito dello Stato non è però quello di analizzare se anche tale "offerta" adempia o meno le condizioni dell'art. 1 par. 1 LApp. (d'altro canto la legge non offre lo spunto per una tale verifica), ma solo quello di prendere atto dell'esistenza di un
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contratto collettivo di lavoro in un determinato ramo e di pretenderne il rispetto ai fini della delibera di incarichi professionali relativi all'esecuzione di opere pubbliche per lo Stato o da questo sussidiate.
e) I concorrenti (Gewerbegenossen), coloro cioè che esplicano la propria attività nell'ambito della libertà di commercio e di industria, hanno diritto all'uguaglianza di trattamento tanto da parte del legislatore, quanto nell'applicazione della legge. Ciò non significa però che sul piano legislativo sia proscritta ogni distinzione; occorre unicamente che questa si giustifichi oggettivamente (MARTI, op.cit., pag. 105).
La legge sugli appalti consta di norme intese a stabilire una graduatoria, dunque un'ineguaglianza, ai fini dell'aggiudicazione dei lavori di progettazione e di esecuzione di opere pubbliche. L'art. 1 par. 1 costituisce solo uno dei casi in cui nella legge vengono stabiliti criteri di scelta, quindi di ineguaglianza, tra i concorrenti. Ben oltre va l'art. 18 che stabilisce, tra imprese ugualmente qualificate, criteri preferenziali quali, per esempio, quelli tratti dalla residenza in un determinato luogo o dal fatto della regolare formazione di apprendisti o ancora della maggiore o minore occupazione delle differenti ditte concorrenti, sia nel settore pubblico che nel settore privato. In questa sede non occorre esaminare se tali criteri di differenziazione siano o meno conformi ai precetti costituzionali: l'esame in questa sede deve ridursi ad accertare se l'adesione o la non adesione ad un contratto collettivo di lavoro costituisca di per sé un valido criterio oggettivo di differenziazione o, più precisamente, se l'esclusione di ditte non aderenti a tale contratto comporti o meno un trattamento ineguale di cose uguali.
Per essere ammissibili, tali differenziazioni devono giustificarsi con oggettivi motivi di polizia o di politica sociale. Il fatto di preferire, in sede di pubblici appalti, concorrenti che praticano nei confronti dei loro dipendenti le condizioni di lavoro previste dai contratti collettivi si giustifica con validissimi motivi, come dimostrato nei considerandi precedenti. Proprio il precetto dell'uguaglianza di trattamento impone anzi di privilegiare quei concorrenti che fanno integralmente beneficiare i loro dipendenti dei vantaggi sociali derivanti dai contratti collettivi di lavoro. Sarebbe inammissibile che anche nell'aggiudicazione di lavori pubblici gli imprenditori meno socialmente aperti traessero vantaggio dalla
BGE 102 Ia 533 S. 548
compressione dei costi, e pertanto delle offerte, loro consentita dal rifiuto di sottomettersi agli oneri imposti ai loro concorrenti dall'adesione al contratto collettivo. L'uguaglianza delle probabilità presuppone una certa uniformità strutturale dei costi del lavoro. L'esclusione dall'aggiudicazione di quelle ditte che non intendono adeguarsi a tale presupposto non viola pertanto il precetto della parità di trattamento dei concorrenti. E neppure viola il precetto costituzionale l'estensione di tali principi anche ai mandati da conferire agli studi tecnici.