BGE 112 IB 225 vom 22. Mai 1986

Datum: 22. Mai 1986

Artikelreferenzen:  Art. 35 AIMP , Art. 10 EAUe, Art. 2 EAUe, Art. 7 Abs. 1 EAUe, Art. 36 Abs. 1 IRSG, Art. 70 Abs. 3 StGB, Art. 144 Abs. 1 StGB, Art. 5 Abs. 1 lit. b IRSG, art. 216 n. 1 e 2, 219 1, art. 35 cpv. 1 lett. b AIMP

BGE referenzen:  112 IB 576, 126 IV 5 , 109 IB 326, 101 IA 63, 107 IV 177, 100 IV 42, 97 IV 14, 101 IV 21, 109 IB 327, 101 IA 595, 108 IB 534, 109 IB 63, 107 IB 76, 101 IV 405, 109 IB 324, 109 IB 329, 101 IA 598, 97 IV 14, 101 IV 21, 109 IB 327, 101 IA 595, 108 IB 534, 109 IB 63, 107 IB 76, 101 IV 405, 109 IB 324, 109 IB 329, 101 IA 598

Quelle: bger.ch

Urteilskopf

112 Ib 225


38. Estratto della sentenza 22 maggio 1986 della I Corte di diritto pubblico nella causa X. c. Ufficio federale di polizia (ricorso di diritto amministrativo)

Regeste

Europäisches Auslieferungs-Übereinkommen (EAUe), Bundesgesetz über internationale Rechtshilfe in Strafsachen (IRSG). Auslieferung nach Italien wegen Konkursdelikten, Grundsatz der beidseitigen Strafbarkeit, Verjährung der Strafverfolgung.
1. Besonderheiten der schweizerischen und der italienischen Regelung im Bereich der Konkursdelikte (betrügerischer Konkurs), insbesondere hinsichtlich der Teilnahme Dritter und der Verfolgungsverjährung (E. 3).
2. Da der Verfolgte nicht als tatsächlicher Leiter der konkursiten Gesellschaft (Art. 172 und 163 Ziff. 1 schweiz. StGB) betrachtet werden kann, sondern allerhöchstens als Dritter, der an den mehr als fünf Jahre zurückliegenden Konkursdelikten teilgenommen hat (Art. 163 Ziff. 2 schweiz. StGB), wäre nach schweizerischem Recht Verjährung eingetreten ( Art. 70 Abs. 3 StGB ) und es stünde somit einer Auslieferung Art. 10 EAUe entgegen (E. 4).
3. Dem Erfordernis der beidseitigen Strafbarkeit ( Art. 2 EAUe ) ist Genüge getan, wenn die dem Verfolgten vorgeworfene Tat - ungeachtet ihrer rechtlichen Qualifikation - in beiden Staaten als Auslieferungsdelikt strafbar ist: Im konkreten Fall kann die Auslieferung gewährt werden, weil die Tat, für die in Italien die Anschuldigung der Teilnahme am betrügerischen Konkurs erhoben wird, in der Schweiz vom Tatbestand der Hehlerei ( Art. 144 Abs. 1 StGB ) am Gewinn aus dem betrügerischen Konkurs erfasst würde (E. 5a). Eine eventuelle Verfolgbarkeit dieses Deliktes in der Schweiz ( Art. 7 Abs. 1 EAUe , Art. 5 Abs. 1 lit. b IRSG ) rechtfertigt die Verweigerung der Auslieferung im konkreten Fall nicht ( Art. 36 Abs. 1 IRSG ) (E. 5b).

Sachverhalt ab Seite 226

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Il Giudice istruttore del Tribunale civile e penale di Torino, dott. Mario Vaudano, ha emesso il 23 aprile 1985 un mandato di cattura n. 268/85 M.C. contro I. X. coniugata M., nata il 3 aprile 1927, cittadina italiana domiciliata dal 1980 a Lugano. La signora X. è imputata, in concorso col
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marito ed altre sette persone già colpite da mandato di cattura, di concorso (art. 110 e 112 n. 1 CPI) nel delitto di bancarotta fraudolenta aggravata commessa dagli otto coimputati menzionati, tutti soci amministratori o gestori di fatto della S.p.A. Y., dichiarata fallita con sentenza 18 settembre 1981 del Tribunale di Milano, per aver distratto beni della società, reato previsto e punito dagli art. 216 n. 1 e 2, 219 1 o e 2o comma, n. 1, e 223 della cosiddetta legge fallimentare (LFall), Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. Dei fatti posti a carico di X. nel mandato di cattura nonché nella relazione 29 aprile 1985 stesa dal Giudice istruttore Vaudano, poi completata con rapporto aggiuntivo del 19 novembre 1985 dello stesso magistrato, si dirà oltre. Sulla scorta di tale mandato di cattura, l'Ambasciata d'Italia a Berna ha chiesto all'UFP - con nota verbale del 15 maggio 1985 - l'estradizione di X. che, su domanda dell'Interpol di Roma, era stata provvisoriamente arrestata con ordine 26 aprile 1985 dello stesso UFP e poi messa in libertà provvisoria dietro una cauzione di Fr. 300'000.--.
I. X. si è opposta all'estradizione in occasione delle sue audizioni da parte del Giudice istruttore di Lugano, e ne ha confermato i motivi con memoria 12 luglio 1985 del suo difensore. Avendo l'Ambasciata d'Italia fornito un complemento d'informazioni con nota del 20 novembre 1985, il difensore ha completato il suo esposto con atto del 12 dicembre successivo.
Con decisione del 22 gennaio 1986 l'UFP ha accordato l'estradizione della ricercata all'Italia. Della motivazione si dirà, ove occorra, nei considerandi.
Agendo col patrocinio del suo avvocato, l'estradanda ha interposto contro questa decisione un ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale, chiedendo che essa sia annullata e l'estradizione rifiutata. Degli argomenti ricorsuali si dirà in appresso. Nelle sue osservazioni, l'UFP ha postulato la reiezione del ricorso; anche sul contenuto di queste si tornerà in seguito.

Erwägungen

Considerato in diritto:

3. Il mandato di cattura imputa alla ricercata il "concorso" ai sensi dell'art. 110 CPI nel reato di bancarotta.
Com'è noto e come la giurisprudenza del Tribunale federale ha più volte constatato, il codice penale italiano - contrariamente al
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diritto svizzero (art. 24/25 CPS) - non conosce più la distinzione fra correità, istigazione e complicità per quanto riguarda la partecipazione di più persone al reato ( DTF 101 Ia 63 ; sentenze 12 dicembre 1975 in re Fioroni, Prampolini e Cazzaniga, 12 dicembre 1975 in re Morlacchi, 26 gennaio 1977 in re Cicchelero, 5 agosto 1977 in re Krause). Esso ha adottato, in linea generale, il criterio di un'uguale responsabilità per chiunque abbia cooperato nel reato (art. 110 CPI), prevedendo però aggravamenti oggettivi e soggettivi (art. 111 e 112 CPI) o attenuazioni (art. 114). In genere, questa diversità dei due diritti non ha rilevanza in materia estradizionale, poiché di solito le pene previste per qualsiasi forma di concorso sono determinate in entrambi gli ordinamenti con riferimento a quella edittale per la commissione del reato e, di norma, soddisfano la condizione di durata prevista dall'art. 2 § 1, 1a frase, CEEstr. In questi casi, è quindi indifferente la forma di partecipazione per la quale il ricercato viene perseguito (sentenze citate).
In materia di reati fallimentari, tuttavia, sussistono tra i due ordinamenti giuridici talune differenze che possono assumere rilievo anche per l'estradizione, segnatamente per la qualificazione dei fatti e la prescrizione. Conviene illustrare subito tali particolarità.
a) Nella bancarotta fraudolenta del diritto svizzero viene punito con la reclusione sino a cinque anni o la detenzione il debitore che in danno dei creditori diminuisce o diminuisce fittiziamente l'attivo o fa comparire una minor consistenza patrimoniale, se viene dichiarato il suo fallimento (art. 163 n. 1 CPS). Se il reato è commesso nell'azienda di una persona giuridica - che per sua natura non delinque - la sanzione penale si applica ai direttori, procuratori, amministratori, revisori o liquidatori, che se ne sono resi colpevoli (art. 172 cpv. 1 CPS): ad essi, come la giurisprudenza ha precisato, sono equiparate le persone che di fatto assolvono tali funzioni ( DTF 107 IV 177 consid. 1a, DTF 100 IV 42 consid. 2c, DTF 97 IV 14 , DTF 78 IV 30 /32). L'azione penale verso il debitore, rispettivamente i suddetti soggetti si prescrive in dieci anni, la pena comminata essendo la reclusione (art. 70, 2a frase, CPS); secondo la giurisprudenza, la prescrizione comincia a decorrere, anche per i fatti prefallimentari, dal giorno in cui l'azione fraudolenta è stata compiuta, non dal giorno della pronuncia del fallimento, condizione obiettiva di punibilità ( DTF 109 Ib 326 aa, DTF 101 IV 21 segg.).
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Il terzo - ossia chi non è debitore o gli è equiparato ai sensi dell'art. 172 cpv. 1 CPS - che compie in danno dei creditori atti di bancarotta fraudolenta è invece punito, se il debitore fallisce, con la semplice detenzione (art. 163 n. 2 CPS). La ragione del minor rigore sta nel fatto che l'estraneo non ha obblighi immediati nei confronti dei creditori: anche se il terzo opera in qualità di complice o di istigatore del reato punibile per il debitore con la reclusione secondo l'art. 163 n. 1 CPS, egli soggiace - in applicazione dell'art. 26 CPS - alla pena della detenzione prevista dall'art. 163 n. 2 CPS (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, III ediz., § 17, n. 18 pag. 302; SCHWANDER, Das schweizerische Strafgesetzbuch, II ediz., n. 590a; LOGOZ, Commentaire du Code pénal suisse, Partie spéciale I, n. 2 all'art. 163). Per il terzo, la pena comminata essendo la detenzione, l'azione penale si prescrive in cinque anni (art. 70, ultima frase, CPS).
b) Nella bancarotta propria del diritto italiano, soggetto del reato è l'imprenditore, se è dichiarato fallito, che ha commesso gli atti di distrazione o falsificazione descritti all'art. 216, 1o comma, n. 1 e 2 LFall. La pena è della reclusione da tre a dieci anni. Questa pena si applica, per la bancarotta impropria, anche agli amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di società dichiarate fallite, che hanno commesso taluno dei fatti previsti dall'art. 216 (art. 223, 1o comma, LFall). Anche per la legislazione italiana, gli amministratori di fatto sono equiparati agli amministratori di diritto (ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, V ediz., n. 32, pagg. 117/118 e nota 10). Queste persone soggiacciono inoltre alla stessa pena, se hanno commesso altri fatti previsti da una serie di articoli del Codice civile (art. 223, 2o comma, n. 1 LFall), oppure se hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento (art. 223, 2o comma, n. 2 LFall), ipotesi questa ove il fallimento non è condizione di punibilità né presupposto, bensì evento del reato ( DTF 109 Ib 327 /328 consid. 11d; ANTOLISEI, n. 35, pag. 127). Diversamente che nel diritto svizzero, alla partecipazione di terzi nella bancarotta si applicano le regole generali dettate dagli art. 110 e segg. CPI: è compartecipe della bancarotta e soggiace quindi per principio alla stessa pena dell'imprenditore, l'esperto o l'impiegato contabile dell'imprenditore fallito o altro complice che l'abbia consapevolmente coadiuvato (ANTOLISEI, n. 44, pagg. 162/164 e nota 29). Avuto riguardo alla pena di reclusione comminata, la
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la prescrizione nel diritto italiano è quella di 15 anni per tutti indistintamente i partecipanti (art. 157, 1o comma, n. 2 CPI); per espressa disposizione di legge, essa comincia inoltre a decorrere dalla sentenza di fallimento, condizione di punibilità (art. 158, 2o comma, CPI; ANTOLISEI, n. 41 in fine, pag. 154).
c) Illustrate queste diversità fra il diritto italiano e quello svizzero in materia di reati fallimentari, giovano però subito due rilievi. Innanzitutto va ricordato come il principio della doppia incriminazione consacrato all' art. 2 CEEstr non esiga che i fatti considerati nel mandato di cattura siano punibili in base a norme identiche o analoghe nell'uno e nell'altro diritto, ma soltanto che essi costituiscano reati per i quali l'estradizione dev'essere concessa in entrambi gli Stati. Una diversa qualificazione giuridica non osta all'estradizione: non è anzi neppur vietato allo stesso Stato richiedente, dopo ottenuta la consegna del ricercato, di eventualmente qualificare diversamente i fatti per i quali essa è stata concessa, alla condizione beninteso - e sotto pena di altrimenti violare il principio di specialità - che anche tale nuova qualificazione costituisca reato estradizionale secondo il diritto dello Stato richiesto ( DTF 101 Ia 595 consid. 5a; inoltre DTF 108 Ib 534 consid. 5a).
In secondo luogo giova rammentare che in virtù dell'art. 35 cpv. 2, 1a frase, AIMP, il quale restringe in tale misura la portata del principio della doppia incriminazione, la punibilità secondo il diritto svizzero dev'essere determinata senza tener conto delle particolari forme di colpa e condizioni di punibilità da questo previste (cfr. DTF 109 Ib 326 aa).

4. Dalla domanda dell'autorità italiana e dalla relativa documentazione nonché da quella prodotta dalla difesa della ricorrente risulta in sostanza quanto segue:
I fatti di bancarotta sono stati commessi nell'azienda di una persona giuridica - la Y. S.p.A. - che è stata dichiarata fallita con sentenza 18 settembre 1981 del Tribunale di Milano. Precedentemente, in data 30 maggio 1979, un'assemblea straordinaria aveva deliberato lo scioglimento della società e nominato un liquidatore. Risultando la Y. S.p.A. implicata in un vasto traffico di contrabbando interno di oli minerali, il Giudice istruttore dott. Vaudano aveva disposto con decreti 14 febbraio 1980 e 21 luglio 1980 il sequestro di tutta la documentazione fiscale, contabile e commerciale per gli anni dal 1973 al 1979 nonché di tutti gli impianti e
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pertinenze (relazione del curatore fallimentare del 15 gennaio 1982). Dalla relazione supplementare dello stesso curatore nonché dalla domanda italiana, risulta che la Y. S.p.A. aveva emesso un numero notevolissimo di false fatture per oltre 300 ditte italiane, che avevano simulato di acquistare i prodotti petroliferi derivanti dalla lavorazione del petrolio che la società a sua volta fingeva di fabbricare. In realtà, la Y. S.p.A. vendeva il petrolio che sarebbe dovuto servire alla produzione di tali prodotti in mercato illecito, lucrando immensi benefici non contabilizzati e via via distratti dal patrimonio sociale per essere portati su conti neri del marito della ricorrente e di suoi complici. Secondo la domanda, tali distrazioni - intervenute fra il 1973 e il 1979 - assommerebbero a non meno di 5 miliardi di lire italiane. X. avrebbe ricevuto quantomeno a partire dal 1981 ingentissime somme di denaro, che erano state fatte affluire dal marito e da altri complici sui conti di due "Anstalten" appositamente costituite a Vaduz, oltre che su una società panamense, ma con attività a Lugano. L'esistenza di movimenti di denaro tra le due "Anstalten" di Vaduz e la ricercata X., che opera in Lugano con attività finanziarie e commerciali, risulterebbe da numerosi atti trovati in possesso del marito della ricorrente al momento del suo arresto in Spagna nonché nella documentazione inviata dall'autorità giudiziaria del Principato del Liechtenstein. La distrazione di somme ingentissime, l'emissione di fatture false, la tenuta di una contabilità nera tra il 1974 e il 1979 sono state - secondo la relazione del dott. Vaudano - ampiamente confessate dagli amministratori formali della società nonché da numerosissimi acquirenti di fatture false.
a) Da questa esposizione dei fatti unita alla domanda italiana, emerge con chiarezza che le distrazioni patrimoniali e le diminuzioni fittizie dell'attivo mediante contabilità inesatta e bilanci falsi sono avvenute tra il 1974 e il 1979 nell'azienda di una persona giuridica. Per il diritto italiano, ne sono responsabili gli amministratori formali, quelli di fatto (art. 223, 216 n. 1 e 2 LFall) nonché tutte le altre persone che, pur prive di questa qualifica, avessero con loro cooperato consapevolmente (art. 110 CPI). Secondo il diritto italiano, nessuna prescrizione si è verificata, il termine quindicennale avendo iniziato a decorrere dal giorno della pronuncia del fallimento (18 settembre 1981). Sotto il profilo della legislazione italiana, non è quindi essenziale stabilire esattamente quando ed in quale ruolo X. abbia eventualmente agito.
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b) La questione è diversa sotto il profilo del diritto svizzero. Se la ricercata deve esser considerata amministratrice di fatto della società accanto al marito, le sono applicabili gli art. 172 e 163 n. 1 CPS. La prescrizione decennale, per i fatti di bancarotta in seno alla società, che ha cominciato a decorrere dal momento in cui essi sono cessati (1979), non si è verificata. La questione della prescrizione si pone invece se la ricercata non può esser considerata amministratrice (di fatto) della società: per l'eventuale sua partecipazione quale terzo (art. 163 n. 2 CPS) a fatti di bancarotta prefallimentare, la prescrizione quinquennale si sarebbe verificata ed osterebbe ad un'estradizione in virtù dell' art. 10 CEEstr (cfr. il caso analogo Olivi, deciso con sentenza del 26 aprile 1978, ove l'estradizione fu rifiutata perché la prescrizione secondo il diritto svizzero era intervenuta, la pena per la corruzione attiva - art. 288 CPS - essendo più leggera, diversamente che nel diritto italiano, di quella prevista per la corruzione passiva del funzionario secondo l'art. 315 CPS).
Nel gravame la ricorrente fa valere di non aver mai svolto alcuna attività nella gestione degli affari del marito, e segnatamente in quella delle società petrolifere, tra cui la B. S.A. e, particolarmente, la Y. S.p.A. qui in discussione. Queste affermazioni della ricorrente non sono però di per sé determinanti: la questione di diritto di sapere se, ove i fatti si fossero svolti in Svizzera, la ricercata dovrebbe essere parificata ad un amministratore della persona giuridica (art. 172 cpv. 1 CPS) oppure no, deve essere risolta sulla base delle adduzioni di fatto della domanda italiana, alla quale il giudice dell'estradizione è vincolato nella misura in cui non presenti contraddizioni, errori manifesti oppure lacune ( DTF 109 Ib 63 consid. 5a, 324/25 consid. 11b, DTF 107 Ib 76 consid. 3b).
c) A proposito di questo periodo, la domanda italiana adduce che X. era prima del 1977 proprietaria insieme con il marito di azioni della Z. S.p.A., una società finanziaria costituita a Milano, che parzialmente controllava la Y. S.p.A. (cfr., oltre l'esposto dei fatti, la relazione già citata del curatore del fallimento). Questa relazione aggiunge altresì che la ricercata sarebbe rimasta azionista anche dopo la cessione, supposta fittizia, di tali azioni. Tale circostanza - contrariamente a quanto opina l'UFP - è però di per sé assolutamente indifferente: che la ricercata sia stata azionista della Z. S.p.A. e, attraverso quest'ultima, della Y. S.p.A., non consente infatti alcuna deduzione circa un ruolo d'amministratrice di fatto che essa vi avrebbe svolto. A parte questo indifferente rilievo, la domanda italiana non allega alcun altro elemento
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fattuale dal quale sia possibile dedurre che - tra il 1974 e il 1979 - X. si sia effettivamente occupata di amministrare la società fallita. In realtà, a ben guardare, la domanda italiana non afferma neppure implicitamente che ciò sia avvenuto: quello che il mandato di cattura e le relazioni annesse rimproverano in concreto alla ricercata sono fatti intervenuti posteriormente alla messa in liquidazione ed al sequestro penale degli atti e degli impianti della Y. S.p.A. Tale conclusione dedotta dagli atti è confortata d'altronde dalla constatazione che le autorità italiane, come giustamente rileva la difesa, non hanno mai avuto motivo di procedere - prima della scoperta di tali fatti, su cui si tornerà - nei confronti della ricercata, né per quanto concerne la Y. S.p.A., né per quanto concerne le altre società petrolifere a cui era interessato il marito: il che indubbiamente non avrebbero mancato di fare se, dalle approfondite inchieste allora svolte, fosse risultato, così come era emerso per altri numerosi imputati, che X. partecipava effettivamente a quell'epoca all'amministrazione della società.
Ne consegue che, sulla scorta delle indicazioni contenute nella domanda italiana, nella documentazione prodotta e negli ulteriori atti di causa, la ricercata non può esser considerata aver svolto funzioni parificabili a quelle di un amministratore ai sensi del- l'art. 172 cpv. 1 CPS in seno alla fallita società. Ad eventuali sue complicità risalenti al periodo 1974/79 in fatti di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori - che la domanda italiana d'altronde neppure assevera - sarebbe quindi applicabile l'art. 163 n. 2 CPS, onde la prescrizione sarebbe intervenuta, come giustamente afferma il patrono della ricorrente.

5. a) Ciò non significa però ancora che il ricorso debba esser accolto e l'estradizione rifiutata. Se si parte dalla constatazione che la ricercata non amministrava la Y. S.p.A. al momento in cui sono stati perfezionati gli illeciti di bancarotta con imponenti distrazioni di beni sociali, e se si ammette perfino che - come sostenuto nel ricorso - X. non era in essi implicata in nessun modo, resta da esaminare se, alla luce del diritto svizzero, i fatti concreti che l'autorità italiana rimprovera alla ricercata potrebbero essere punibili in Svizzera quale delitto estradizionale, sia pure con altra qualifica. Ora, l'autorità italiana fa valere che ingentissime somme, incassate dalla Y. S.p.A. con il commercio illecito e con il contrabbando interno di prodotti petroliferi e poi distratte dagli attivi sociali, sarebbero state fatte affluire dal marito della ricorrente e altri complici sui conti di due "Anstalten" e su quelli
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di una società panamense, con attività in Lugano. Da questi conti X. avrebbe attinto importi molto ingenti, investiti poi in valori mobiliari, immobiliari e attività economiche in Lugano e altrove. Se questi fatti sono stati commessi sapendo o dovendo sapere che i fondi provenivano dal reato di bancarotta perfezionato da altri in precedenza, X. si sarebbe resa colpevole in Svizzera del reato di ricettazione secondo l'art. 144 cpv. 1 CPS, avendo acquistato, ricevuto in dono, occultato o aiutato a spacciare cose che sapeva o doveva presumere provenienti da un reato: che la ricettazione del prodotto di una bancarotta fraudolenta sia configurabile è riconosciuto in dottrina (SCHWANDER, n. 554 e 554a; inoltre DTF 101 IV 405 consid. 2; STRATENWERTH, § 15, n. 6 pag. 286), e la prescrizione di un tale reato non sarebbe manifestamente ancora intervenuta (art. 70, 2a frase, CPS).
Certo, la ricercata assevera che le ingenti somme ch'essa ha ottenuto dal marito - per un importo ammesso di oltre 2 milioni di franchi - costituiscono la liquidazione di rapporti patrimoniali nonché una sistemazione cui il marito, che avrebbe relazione con altra donna, era in dovere di provvedere. Essa dichiara altresì che i fondi così trasmessile provengono dalla realizzazione di patrimonio legittimamente acquistato dal marito, già facoltosissimo industriale. Il Tribunale federale non può tuttavia occuparsi di tali obiezioni, che concernono il tema della colpevolezza, riservato al giudice italiano del merito, o che riguardano il controllo dei fatti esposti dall'autorità giudiziaria italiana, fatti che, in questa misura almeno, sono sicuramente esenti da errori, lacune o contraddizioni, e vincolano pertanto il giudice svizzero dell'estradizione ( DTF 109 Ib 324 /25 consid. 11b).
b) L'estradizione non è neppure da rifiutare a motivo che i fatti si sarebbero svolti prevalentemente in Svizzera, onde X., per l'ipotesi di ricettazione, soggiacerebbe alla giurisdizione svizzera. Per l' art. 7 cpv. 1 CEEstr , il rifiuto dell'estradizione costituisce in tale evenienza una mera facoltà della Parte richiesta. Certo, secondo l' art. 35 cpv. 1 lett. b AIMP e contrario, l'estradizione è per principio da negare se il reato soggiace alla giurisdizione svizzera; tuttavia, la persona perseguita può esser eccezionalmente estradata per un fatto che potrebbe esser perseguito in Svizzera, qualora circostanze speciali, segnatamente la possibilità di un miglior reinserimento sociale, lo giustifichino ( art. 36 cpv. 1 AIMP ). Ora, non v'è dubbio che, nel caso in esame, si giustifica la celebrazione
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di un processo in Italia: non solo i fatti originatori di questa vicenda si sono svolti in Italia e la magistratura di quel Paese è meglio in grado di acclararli, ma tutti gli altri protagonisti sono ivi perseguiti, e a ciò si aggiunga che la ricorrente è di nazionalità italiana, risiede a Lugano da tempo relativemente breve e non ha quindi con la Svizzera vincoli profondi. D'altra parte, va considerato che l'inchiesta nei confronti della ricercata non è ancora conclusa, e non si può escludere che, contrariamente alle risultanze attuali, i fatti ritenuti a suo carico si qualifichino per finire quale diretta partecipazione al reato di bancarotta piuttosto che come ricettazione del prodotto di questa: in simili casi, l'estradizione all'Italia si impone per non correre altrimenti il rischio di lasciar impunito il reato per difetto di giurisdizione dello Stato richiesto ( DTF 109 Ib 329 consid. 11f, DTF 101 Ia 598 segg. consid. 6).

6. Da quanto sopra discende che il ricorso dev'essere respinto e l'estradizione all'Italia concessa per i fatti relativi ai prelievi di fondi dalle "Anstalten" del Principato del Liechtenstein e dalla società panamense illustrati nella domanda italiana. Per eventuali altri fatti anteriormente commessi, l'autorità italiana dev'essere invitata a presentare - se del caso - una domanda complementare, affinché su di essi il giudice svizzero dell'estradizione possa nuovamente pronunciarsi.

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