Urteilskopf
82 II 21
4. Sentenza 6 febbraio 1956 della I Corte civile nella causa Grossi contro Valota.
Regeste
Pactum de non licitando.
1. Schliessen Bewerber bei einer Ausschreibung betreffend den Verkauf eines Waldbestandes zum Abholzen ein pactum de non licitando, um zu erreichen, dass der Zuschlag an den einen von ihnen zu einem niedrigeren als dem sonst gemachten Angebot erfolge, so ist die getroffene Vereinbarung auf Grund von
Art. 20 OR
nichtig.
2. Die dem interessierten Gemeinwesen zustehende Befugnis, den Zuschlag nicht vorzunehmen oder seine Gültigkeit nach
Art. 230 OR
anzufechten, bewirkt nicht, dass die wegen ihres Zweckes nichtige Vereinbarung Gültigkeit erlangt.
A.-
Nel settembre 1952, l'Amministrazione patriziale di Aurigeno apriva un concorso pubblico per la vendita e il taglio del bosco Lareccio. Pochi minuti prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, Arrigo Grossi e Luigi Valota, aventi entrambi l'intenzione di concorrere, convenivano che il primo avrebbe desistito dal concorso e che Valota gli avrebbe pagato, qualora il bosco gli fosse stato aggiudicato, una somma di 4000 fr. Valota, che teneva pronte due offerte, consegnava allora quella più bassa. Effettivamente, la delibera veniva poi fatta a Valota, rimasto concorrente unico.
Conformemente alla stipulazione verbale, Grossi chiedeva il pagamento della somma convenuta, ma Valota si rifiutava di dare seguito all'impegno assunto. Con petizione 8 giugno 1953, Grossi lo conveniva di conseguenza in giudizio davanti alla Pretura di Vallemaggia, chiedendo che fosse condannato a pagargli 4000 fr., più 100 franchi per spese cagionate dal rifiuto di Valota di adempiere il contratto. In data 17 marzo 1955 il Pretore ammetteva le conclusioni dell'attore, considerando in sostanza che la stipulazione in questione costituiva un pactum de non licitando valido ed efficace.
Adita dal convenuto, la Camera civile del Tribunale di appello annullava - con sentenza 4 luglio 1955 - il giudizio pretoriale e respingeva pertanto la petizione di Grossi. A sostegno della sua decisione, essa esponeva
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segnatamente che il negozio stipulato era nullo perchè contrario ai buoni costumi nel senso dell'art. 20 CO.
B.-
L'attore ha interposto tempestivo ricorso per riforma al Tribunale federale, chiedendo l'annullamento della sentenza del Tribunale di appello e la conferma di quella del Pretore, con spese e ripetibili in sede cantonale e federale a carico di Valota.
Nelle sue osservazioni, il convenuto conclude per la reiezione del gravame, con spese e ripetibili in sede federale a carico di Grossi.
Considerando in diritto:
1.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza del Tribunale federale, il pactum de non licitando non è senz'altro nullo. Esso è però tale quando miri a influire con manovre illecite o contrarie ai buoni costumi sull'esito di un incanto pubblico giusta l'art. 230 CO, in particolare quando lo scopo della stipulazione consista nell'influire sfavorevolmente sul risultato dell'incanto e nell'attribuire a uno dei contraenti o a un terzo la differenza tra il prezzo di aggiudicazione e il valore effettivo dell'oggetto messo all'asta (RU 39 II 34/35).
Ora, nel suo gravame per riforma il ricorrente allega avantutto che intenzione dei due contraenti non poteva essere quella di danneggiare il patriziato, giacchè essi ignoravano se esistessero altre offerte e nemmeno conoscevano l'importo delle loro rispettive offerte, le quali non dovevano del resto necessariamente essere basse. Senonchè, l'autorità cantonale ha ritenuto, in base alle dichiarazioni delle parti stesse, che scopo dell'intesa era stato di permettere un'offerta inferiore a quella che sarebbe altrimenti stata fatta, e che Valota aveva effettivamente presentato la più bassa delle due offerte che teneva pronte. Questo accertamento della volontà delle parti in base alle loro dichiarazioni rientra nel libero apprezzamento delle prove da parte del giudice cantonale e come tale vincolerebbe il Tribunale federale quand'anche fosse stato desunto da
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semplici indizi (RU 66 II 265;
61 II 40
e sentenze ivi citate).
Ma se Valota ha potuto risparmiare la differenza tra il prezzo d'aggiudicazione e la somma che il patriziato avrebbe eventualmente potuto ricavare dall'asta senza l'accordo di cui si tratta, il danno per l'ente pubblico appaltante è evidente e corretta deve dunque essere giudicata l'applicazione alla fattispecie dell'art. 20 CO. Nè giova al ricorrente obiettare che in concreto l'incanto non avrebbe in ogni modo avuto esito migliore e che il patriziato avrebbe dovuto, se danno vi era stato, contestare la validità dell'incanto a norma dell'art. 230 CO. Infatti, la possibilità per l'ente appaltante di tutelare i suoi interessi in virtù di una speciale disposizione dell'ordinamento giuridico non può avere per effetto che un negozio tra concorrenti - illecito per il suo fine - divenga lecito in seguito alla rinuncia di detto ente a invocare il rimedio legale. In tali circostanze, nemmeno la clausola del pubblico concorso secondo cui la delibera sarebbe statta fatta dall'ente appaltante al miglior offerente "se così parrà e piacerà, tenuto conto delle necessarie garanzie" può modificare la situazione del ricorrente. Come l'autorità cantonale ha giustamente rilevato nella sentenza querelata, la possibilità per il patriziato di non deliberare il bosco e la circostanza che esso non abbia contestato la validità dell'aggiudicazione non implicano infatti una conferma e un'approvazione dell'illecito accordo, tanto più che un semplice sospetto non equivale ancora a una prova, il più delle volte difficile da fornire.
2.
Così stando le cose, infondato è anche l'argomento del ricorrente, secondo cui l'art. 20 CO avrebbe un carattere sussidiario rispetto agli
art. 62 e 230
CO. Per ciò che riguarda l'art. 62 CO relativo alla restituzione dell'arricchimento indebito, indipendentemente dal fatto che la natura sussidiaria sarebbe semmai riconosciuta - in concorso con un'azione contrattuale - a quella fondata sull'arricchimento indebito stesso (RU 45 II 541), non si
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vede como Valota avrebbe potuto farvi capo dato che il patto illecito de non licitando non fu eseguito. Soltanto se Valota avesse pagato i 4000 franchi, il problema della ripetibilità o meno del versamento nel senso degli
art. 62 sgg
. CO si sarebbe posto.
Per il rimanente, privo d'importanza è il rilievo che la sentenza querelata premierebbe la scorrettezza di Valota. Al contrario, l'accoglimento della petizione non solo consacrerebbe la malizia dei contraenti ai danni del patriziato, ma sancirebbe in generale la possibilità di ledere mediante illecite stipulazioni private gli interessi che l'ordinamento giuridico ha inteso proteggere con le sue norme (cf. art. 230 CO).
Il Tribunale federale pronuncia:
Il ricorso per riforma è respinto e la querelata sentenza 4 luglio 1955 della Camera civile del Tribunale di appello è confermata.